Dal carcere un’appassionata lezione di vita e di speranza

Teatro

di G. C. – 1966

Un detenuto ci scrive dalla Casa Circondariale di Bergamo per parlare di se stesso e delle sue gravi problematiche, ma anche per sottolineare come nell’incontro con l’esperienza del teatro egli possa finalmente godere di uno “sprazzo di gioia”.

“Eccomi qui, di nuovo, durante una notte insonne, con il bisogno di parlare con qualcuno. Ho bisogno di condividere con un amico le mie giornate e soprattutto la depressione che mi assale quando nel completo silenzio, ed ovunque io sia, non posso far altro che pensare alla mia vita passata, presente e futura. Il passato mi crea sempre dei problemi: quando ci penso vengo assalito da dei sensi di colpa per tutto ciò che ho fatto a causa della droga….

Sì, è proprio a causa della droga che oggi mi ritrovo ancora chiuso in carcere. E la cosa più fastidiosa, la cosa che più mi attanaglia il morale, è la solitudine, che non ti abbandona mai. …Ieri ho preso parte con altri detenuti al primo incontro di teatro in carcere, diretti ed addestrati da due ragazze davvero stupende, Elena Reduzzi e Beatrice Meloncelli. Vedendo come loro credono e hanno fiducia in noi detenuti, per quanto non ci conoscano ancora, mi fa capire che, dopo tutto -malgrado la società in genere ci emargini a causa dei nostri reati e dello stile di vita che conduciamo- c’è ancora qualcuno che vuole darci una possibilità. Non vogliamo essere perdonati per i nostri errori, ma considerati con gli stessi diritti degli altri esseri umani… Domani andrò alle prove di teatro, dove potrò dare sfogo delle mie emozioni senza problemi… Oggi, durante l’ora di teatro, mi sono divertito molto e percepisco che sta nascendo un buon rapporto con questo gruppo e soprattutto apprezzo la dedizione di chi ci dirige: sono due ragazze piene di vita e la sanno trasmettere a tutti noi. Io, che faccio parte del gruppo, contraccambio dando il mio impegno alle prove. …”

Il Popolo Cattolico, 22 maggio 1999