Isis tomorrow

Le anime perse di Mosul (Docu-film)

Mosul: la terra dove una volta sorgeva la capitale assira, citata anche nella Bibbia: Ninive, sulla sponda del fiume Tigri. E i ricordi vanno a quando al Liceo studiavamo quei luoghi pianeggianti della Mesopotamia, quella terra tra due fiumi che tante popolazioni dell’antichità bramavano di occupare. Mosul è il nome che diedero poi gli Arabi musulmani all'antica Ninive.

E come per una sorta di Nemesi, nello stesso modo in cui i terribili Assiri non avevano pietà per i nemici, ed anzi tagliavano loro mani, arti; li impalavano senza alcuna pietà o li sgozzavano davanti agli altri, nello stesso modo l’autoproclamato Stato islamico ammazza e distrugge tutto ciò che è ‘altro da sè.

Con gli Assiri eravamo però secoli prima di Cristo e testimonianze di questa efferata crudeltà la si vedeva solo sui bassorilievi della sezione assira, al British Museum di Londra. Invece da pochi anni la si rivede in Tv, nei dossier sul MedioOriente, al cinema come con ‘Isis tomorrow’, presentato (fuori concorso) al Festival del Cinema di Venezia

E allora vien da chiedersi: ‘Ma dove siamo? Nell’antichità di circa 3000 anni fa o nella contemporaneità?’. Purtroppo siamo sempre all’anno zero, perchè quando vige la stessa barbarie, si spegne ogni lume di Bene. Dov’è finito il motto: ‘Historia magistra vitae’? Purtroppo dobbiam dare ragione alla triste sentenza anglosassone: ‘History repeats itself’


Laddove prevale infatti l’ignoranza, il fanatismo, la forza del male sul bene, allora viene vanificata ogni spia di progresso, ogni speranza dell’uomo per un futuro migliore. E negli occhi e nelle parole dei sopravvissuti a Mosul la regia di ‘Isis tomorrow’ ci ‘sbatte in faccia’ la disperazione di queste vittime sopravvissute, ‘lost souls of Mosul’, anime perse, appunto.
Come si evince dal libro di Primo Levi, ‘Sommersi e salvati’, anche chi sopravvive può diventare un sommerso, poichè -anche se gli anni passano- le ferite lasciate da un trauma di guerra o da una sopraffazione non cicatrizzano mai, anzi aprono violentemente uno squarcio sul proprio cuore e continuano a sanguinare, ma in maniera sommersa, appunto, provocando -prima o poi- un’implosione dell’essere umano involontariamente coinvolto nella carneficina dell’ignoranza umana
E’ difficile dimenticare quelle terribili immagini dell’estate 2015, quando Palmira, la ‘regina del deserto’, viene falcidiata e colpito il tempio di Baal, patrimonio dell’Unesco dall’80; è inaccettabile che il sedicente Stato islamico abbia devastato il museo di Mosul: oltre due millenni di Storia vilipesi e distrutti.
E sì che l’Isis diceva di aver liberato Mosul.
In ‘Isis tomorrow. The last souls of Mosul’, regia e sceneggiatura di Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi, entrambi giornalisti italiani, si punta il focus sugli effetti dell’Isis, sui figli degli uomini caduti terribilmente per mano dell’Isis.
E’ un documentario di 80 minuti che dà voce a chi voce non ha, ossia alle vittime: i bimbi rimasti orfani e le mogli, rimaste vedove. La macchina da presa va nei campi profughi, dove pregiudizi e paure -unitamente all’impossibilità di un riscatto economico e sociale- impediscono alle vittime di uscire da questo limbo infernale, dimenticato da più Paesi e politici al mondo.
E’ la voce delle vittime, che dai campi profughi dice: ‘Ci trattano come prigionieri di guerra (...). Se fossimo morti sarebbe stato meglio’
‘Mio zio, mio cugino... sono stati tutti uccisi dall’Isis. Li appendevano e poi gli sparavano.. oppure li sgozzavano.’ ‘E’ finito tutto con l’arrivo dell’Isis’.
Quando ascoltiamo tali parole da bambini, allora ci chiediamo cosa vedono gli occhi di queste vittime. E capiamo che in questi occhi non c’è più il blu del cielo nè il giallo di una soleggiata progettualità, ma soltanto grigio e nero. Sta agli adulti che hanno il coraggio di guardare, alle grandi organizzaioni umanitarie, chiedersi se/come sia possibile far tornare il mondo un po’ più a colori, per quanto opachi, a centinaia di vittime , socialmente tagliate fuori da un futuro migliore

Elena Reduzzi